Cassazione Pen. IV, 19 agosto 2013, n. 35115.

Caduta dall’alto di un operaio, responsabilità del datore di lavoro e del R.S.P.P.
Un datore di lavoro, un coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dai lavori e un capocantiere venivano asssolti dal Tribunale di Udine dall’imputazione di lesioni colpose gravissime ai danni di un operaio dipendente. Al datore e al coordinatore si contestava di non avere individuato le misure necessarie a minimizzare i rischi, approntando i dispositivi di protezione del caso, dalle cadute dall’alto, di una delle quali era rimasto vittima l’operaio che, salito su un solaio in costruzione si era procurato, precipitando al suolo, un trauma cranico e spinale.
La Corte d’Appello di Trieste accoglieva l’impugnazione del Procuratore Generale locale dichiarando il datore e il coordinatore colpevoli del reato loro ascritto condannandoli alla pena sospesa reputata di giustizia e non menzione.

Il Tribunale aveva escluso che entrambi gli imputati fossero incorsi in condotta colposa in quanto al momento del fatto non si trovavano nel cantiere, nè sapevano dell’arrivo dell’operaio e del fatto che costui sarebbe asceso al costruendo terzo piano, condotta pericolosa per lo stato dei luoghi e la presenza di bagnato, procurata dalla pioggia. La corte d’Appello, invece, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro dell’infortunato assunto per provato che l’infortunato salì sul solaio utilizzando la scala in costruzione e che l’area del terzo piano era stata impropriamente adibita a zona di lavoro individuava la colpa del datore legale rappresentante della società operante nel cantiere, nel non aver impartito “disposizioni affinchè nessuno accedesse al solaio del terzo piano se non autorizzato e munito di appositi dispositivi di protezione e ai soli fini della realizzazione della soletta”.

La colpa del coordinatore p. e. l. veniva fatta derivare dal non aver affrontato nel P.O.S. “la problematica relativa ad un uso alternativo dei piani in costruzione”, competendo, inoltre “al coordinatore la verifica e l’attuazione dei presidi antinfortunistici in relazione alle corrette procedure di lavorazione”.

Il ricorso del datore di lavoro è stato respinto.
La Corte sottolinea che non era rilevante lo stato di completamento del solaio, ma la circostanza che lo stesso fosse stato incongruamente adibito, quando ancora il luogo era altamente insicuro, per lo svolgimento di lavorazioni varie e che non venne affatto impartito e fatto rispettare l’ordine d’impedire l’accesso, salvo agli operai addetti al completamento del solaio e con i presidi di sicurezza del caso.
La condotta dell’operaio non ha assunto i caratteri dell’anomalia o dell’abnormità tali da interrompere il nesso di causalità.

Anche se può ritenersi come possibile che all’evento possa aver concorso una scelta azzardata del predetto lavoratore, deve escludersi che nel caso in esame una tale decisione possa considerarsi avulsa dalle mansioni lavorative svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. L’infortunio è occorso nell’esercizio e a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dal garante, l’infortunato per raggiungere il solaio in costruzione non ebbe a superare ostacoli ed aggirare divieti, trattandosi di area liberamente accessibile.

Il responsabile per la prevenzione e la sicurezza assume, in prevalenza, compiti di consulenza ed indirizzo. Ciò, tuttavia, non esclude l’ipotesi non infrequente che il predetto, esuberando dai propri compiti di consulenza, fornendo indicazioni operative inadeguate o mancando di approntare specifici progetti d’intervento volti ad assicurare la sicurezza delle condizioni lavorative, venga anch’egli chiamato in penale responsabilità, senza perciò, comunque, sgravare la posizione del garante principale. (Cass. pen. IV 2814/2010).

Al R.S.P.P veniva contestato di non avere verificato e attuato i presidi antinfortunistici in relazione alle corrette procedure di lavorazione, di non aver previsto la prassi irregolare di utilizzare il piano in costruzione come zona di lavoro e conseguentemente indicato opportune misure precauzionali.

La Cassazione ha rilevato che tale profilo di responsabilità colposa non si addiceva al ruolo del RSPP che con la sua opera di consulenza ha il dovere d’individuare le corrette procedure di lavorazione per prevenire i rischi infortunistici, vigilare perchè siano sempre verificabili e, quindi, modificabili, le misure e le cautele indicate, tener conto delle osservazioni pervenute e delle difficoltà incontrate, nonchè delle anomalie alle quali porre rimedio. Non è tuttavia richiesto al R.S.P.P una assidua e penetrante opera di controllo e repressione delle trasgressioni come nel caso in esame in cui il pericolo derivava da condotte lavorative transitorie non conformi al P.C.S.

Il fatto non poteva collegarsi ad una rilevante condotta colpevole del R.S.P.P che è stato assolto.